"Vedo i fiumi dentro le mie vene, cercano il loro mare, rompono gli argini, trovano cieli da fotografare..
Sangue che scorre senza fantasia porta tumori di malinconia.." - F. De Andrè, Un ottico
sabato 7 novembre 2009
È Notte Fonda...
È notte fonda. Il buio totale aleggia nei pensieri dell’uomo.
Non sa perché è notte; non sa perché è lì; l’ultima volta che si ricorda di essere stato vivo, era una splendida giornata di sole, di inizio autunno.
Quando le foglie cadono come neve, riempiendo però di colori il paesaggio circostante, quando si passeggia più volentieri e si fa a gara a chi fa fare più “crock” alle foglie; quando non è ancora inverno, e gli ultimi soli dell’estate fanno ancora valere il proprio caldo tepore, senza arrostire come l’estate, però...
Era col suo cane, l’unico essere vivente che abbia mai apprezzato e a cui abbia mai voluto bene davvero. Era infatti molto dubitante delle persone, in quanto nella sua vita aveva visto con quanto poco fossero corruttibili e con quanta leggerezza erano in grado di tradire amore e sentimenti.
Il suo cane no, il suo cane lo amava incondizionatamente, il suo cane era diverso dalle persone, perché non lo poteva tradire in quanto non sapeva cosa fosse la corruzione, dato che non sapeva cosa fosse il denaro, la terra, o la bella vita. Sapeva solo chi era il suo amico da sempre, chi lo aveva accudito fin da piccolo, chi gli dava da mangiare tutti i giorni, chi andava a correre con lui, chi lo faceva divertire e lo faceva quasi sentire un essere umano, per condividere così tanto tutta la sua vita proprio con un cane.
E quel giorno stava proprio correndo con il suo cane, una corsetta leggera, percorrendo la capezzagna che costeggiava la sua proprietà di terreno in aperta campagna. Pensava che fosse fantastico correre in quelle condizioni: bel sole, colori dappertutto, in mezzo alla natura, all’aria pulita e col suo amico a quattro zampe.
Ma ora torna di colpo in sé stesso, comincia a ponderare la situazione, comincia a chiedersi perché è notte e perché era da tanto che non si sentiva vivo.
Cos’aveva fatto nel periodo che era trascorso da quella corsa nei colori dell’autunno a quella notte di un lugubre inverno. Dov’era stato, cosa lo aveva portato lì, e, soprattutto, perché non ricorda niente.
Come nei suoi pensieri, il buio totale è anche fuori, nella notte; certo la luna ci sarebbe che potrebbe illuminare, ma è occultata violentemente da delle nuvole pesanti come il piombo; e come se non bastasse, c’è una nebbia leggera che complica maggiormente il tutto.
È leggera, ma all’uomo sembra di poterla respirare e di essere soffocato da essa. Ed è contento di essere vivo, nonostante questa sensazione di difficoltà a respirare.
Gli viene un deja-vu dovuto a questa sensazione, ma non capisce proprio a cosa si possa collegare.
Non sapendo neanche in che anno si trova, ora che è totalmente cosciente delle sue condizioni, non si stupisce neanche di essere fuori, all’aperto e nel mezzo della notte, invece di essere su un bel letto morbido e familiare, sotto a calde coperte e ad un rassicurante piumone.
Realizza che è nell’aia della sua cascina di campagna, e decide di entrare in casa a ricostruire il filo logico di tutta questa oscura vicenda, sperando che si tratti solamente di una brutto sogno.
Ma proprio mentre fa i primi passi in direzione della casa, sente degli strani rumori venire dal cortile dove poco lontano allevava le sue galline. Preso da un’incontenibile curiosità, che non gli è mai mancata, decide di andare a vedere. Entra nel recinto, delimitato da una rete intrecciata di ferro leggero... e vede una cosa strana, parecchio strana.
Delle galline mai viste prima, che ruspavano irrequiete e in modo forsennato il terreno, mentre stavano mangiando qualcosa che non riusciva a vedere emettendo il loro tipico suono, anche se un po’ più strano dal tipico “coccodè” di cui si ricordava lui.
Delle galline che ruspano e mangiano facendo così tanto caos nel bel mezzo della notte? Strano, parecchio strano...
Insieme alla consapevolezza di quanto possa essere strana la cosa, si aggiunge un brutto presentimento, una sensazione di malessere, che lo ricollega allo stesso deja-vu di prima. Ma ancora non riesce a capire. Eppure è consapevole che, con la massima probabilità, la risposta al perché si trova lì e a che cos’ha fatto finora consiste proprio nell’arrivare a capo di quel maledetto deja-vu.
Si avvicina un po’ di più alla mischia irrequieta di galline, che con suo stupore non sono spaventate dal suo arrivo e non si discostano neanche di un millimetro dal loro cibo. Il senso di malessere si fa via via più forte, e spinto dalla sua incontenibile curiosità, è costretto a calciare le galline per allontanarle e vedere che cosa c’è sotto di loro, aiutato dalla poca luce ovattata che arriva dalla luna che ancora non è riuscita a liberarsi delle nuvole.
Dopo un breve istante, realizza chiaramente che cosa stavano mangiando le galline; e con la consapevolezza del fatto che era meglio se per una volta non si faceva spingere dalla sua curiosità, viene totalmente sopraffatto e atterrito da quel senso di malessere che ora è opprimente.
Non sa se urlare, vomitare, uccidere le galline una per una...
Fatto sta che quello che stavano mangiando nel bel mezzo della notte come avvoltoi affamati nel mezzo del deserto, era chiaramente il cadavere del suo cane.
Senza richiudere scrupolosamente il recinto, come era solito fare, ne corre fuori, come un killer che si allontana fugacemente dalla scena del crimine, cercando di levarsi nel minor tempo possibile quell’immagine orribile dai suoi occhi.
Col fiatone e i polmoni che erano riempiti e svuotati alla velocità dei battiti del suo cuore, neanche avesse corso la maratona di New York, si ferma di colpo per prendere fiato e riportare un po’ di ossigeno al cervello, in modo da poter essere il più razionale possibile. Aspetta qualche istante, in modo da poter riportare il respiro e i battiti nel range ottimale.
Poi riprende il passo, lentamente, verso la sua casa.
Arriva davanti alla porta dell’ingresso secondario, che preferiva all’altro poiché più nascosto e funzionale, dato che dava direttamente alla camera-ripostiglio dove teneva tutti gli attrezzi e tutti i suoi vestiti da lavoro.
La trova socchiusa. Strano. Lui chiude sempre scrupolosamente tutte le porte, perlomeno quelle che dalla casa portano all’esterno e viceversa.
Entra.
Senza cercare l’interruttore della luce, ma facendosi aiutare solamente dalla luce fioca della luna ottenebrata, dato che i suoi occhi si erano ormai abituati all’oscurità di quella situazione, chiude velocemente la porta. “Sbam”.
Dopo aver sentito con sollievo il rumore rassicurante della protezione, data dall’isolamento dall’esterno della notte nera e fredda, chiude con due giri di chiave la porta, stupendosi di trovare la chiave proprio dove si ricordava che fosse.
Era già un buon segno, sentiva che stava già per tornare alla normalità, sapeva che si sarebbe seduto innanzi al tavolo del salotto e sorseggiando un the caldo sarebbe venuto finalmente a capo di tutta questa intrecciata situazione.
Ma proprio mentre si stava per muovere verso l’interruttore per accendere la luce e proseguire verso il corridoio...
Una cosa lo fa rimanere immobile, pietrificato.
Avverte una presenza nella stanza.
Avverte che c’è qualcuno vicino a lui. Non è fiato sul collo, non è rumore che può essere stato provocato in qualche modo dal vento o da qualcosa che è caduto per inerzia.
Sono vibrazioni. Avverte delle vibrazioni, come se fosse un sesto senso; e non può sperare che sia solo un’illusione. Quelle vibrazioni le avverte chiaramente, talmente chiaramente che gli prendono lo stomaco e glielo bloccano a tal punto da farlo restare immobile.
Prova a muoversi, ma non ci riesce. Gli viene in mente la sensazione di quando, dormendo d’inverno, rendendosi conto di non avere più le coperte che ti coprono e svegliato dal freddo, si vorrebbero prendere e rimettere com’erano prima, per potersi riaddormentare nel caldo in cui ci si era addormentati; ma con la mente annebbiata dallo stato confusionale del dormiveglia, non si muove un dito, poichè il sonno prevale al freddo.
Ma quella situazione era decisamente peggio, era milioni di volte più spiacevole. Ora vorrebbe prendere il macete che sa essere riposto nella mensola a pochi passi da lui, per menarlo con tutta la sua forza in lungo e in largo, sperando di colpire o di allontanare l’essere che emana quelle vibrazioni malefiche; non le coperte per riaddormentarsi dolcemente.
Ma non ce la fa, non riesce a muovere un solo muscolo, e col cuore in gola, suda freddo. E le vibrazioni sempre più forti, lo rendono sempre più immobile, facendogli, come se non bastasse, ricadere quel senso opprimente di malessere e riconducendolo al deja-vu, che ora sembra quasi risolvibile. Se solo non si trovasse in quella situazione.
Sente in qualche modo la presenza ignota avvicinarsi a lui, e lui sempre più impotente, pensa che vorrebbe morire, non riuscendo più a sopportare le vibrazioni che ora sono diventate praticamente insostenibili, come delle lame affilate piantate con decisione nel suo stomaco.
Ma non riesce neanche a sopportare la vile idea di voler morire, un po’ respinta dal suo forte orgoglio, un po’ respinta da quello che è il naturale istinto di conservazione e sopravvivenza umana.
E più per forza di disperazione e per repulsione quasi elettromagnetica da quelle vibrazioni infauste che per averne trovato il modo razionale per farlo, riesce ad avere uno scatto e a muoversi in direzione del macete.
Ora che ha il macete in mano, ora che è riuscito a muoversi, sente via via le vibrazioni affievolirsi e azzerarsi. Ma in controparte aumenta nei suoi pensieri e va a riempire ogni singolo neurone del suo cervello la sensazione sempre più ostinata del deja-vu.
Si volta, imbocca il corridoio impugnando ancora saldamente il macete, ma senza aver acceso la luce e...
E...
Beh, e a questo punto mi sono svegliato...
Giàggià cari visitors, era stato solo un sogno.. o meglio solo nella parte finale della presenza misteriosa nella stanza, che ho un po’ romanzato per farci su una storia.
Scusate se vi ho portato fin qui senza darvi almeno un finale, ma ho deciso di fermarmi proprio su ciò che ho davvero sognato e dove mi sono fermato io; e scusate se la storia che ci ho fatto su è un tantino inquietante. Ma fidatevi che è stato un po’ inquietante e misterioso anche ‘sto cazzo di sogno inutile, quindi ho ben deciso di condividere con voi un po’ dell’inquietudine di quel sogno, risalente ormai a ieri notte.
Che dire, sperando che non vogliate lanciare pomodori marci sul mio blog, vi auguro una buona notte...
A presto visitors!!
Ciao!!
4 commenti:
Mi fa piacere anche un semplice "Ciao", sapere che siete passati di qua, che avete respirato un po' l'aria di queste montagne!
Ma potete scrivere quello che volete, come volete! Io non cancellerò mai un commento*, perchè il blog vive e cresce proprio coi commenti! E perchè mi piace chi partecipa, chi pensa, chi scrive! Come canta Gaber
"Libertà è partecipazione"
Grazie a tutti voi cari Visitors liberi!
*(a parte insulti gratuiti, bestemmioni, anonimi che spammano o fanno altre burle, e qualsiasi altra cosa ritenga vada oltre la minima decenza...) :)
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Ok, io stanotte dormo con la luce accesa.. non si sa mai..
RispondiEliminaHehehe :)
RispondiEliminaalla faccia dell' incubo! :) complimenti Andrea! mi è piaciuta molto l' idea di romanzare un po' il tuo sogno... e il tutto scritto davvero molto bene!!!! scusa il ritardo per il commento eh eh :P
RispondiEliminaGrazie mille Giulia, anche per essere passata ed averlo letto!
RispondiEliminaBuon week end :D