Il tempo continuava a passare, Iole aveva ricominciato a far su e giù da Pistoia tutti i santi giorni, e tutti i santi giorni pensava a Giorgio, lo amava ancora e non riusciva a dimenticarlo. Questo certo non l’aiutava. Non la poteva più aiutare neanche Erica, dato che Iole uscì sempre meno di frequente con la sua amica. Tornava subito a casa, appena finiva in posta. Pian piano smise anche di scrivere nel suo blog. Si stava chiudendo sempre di più in sé stessa, e un paio di settimane dopo, cadde in depressione. Non volle neanche andare dallo psicologo come le aveva consigliato suo padre, diceva che stava bene e che si sarebbe ripresa in fretta. Ma non fu mai così. Non si sollevò più da quello stato, e la ragazza che ora lavorava alla posta delle piccola frazione di Sambuca Pistoiese, non sembrava la stessa ragazza che ci lavorava due anni prima. I suoi occhi ora rispecchiavano il vuoto, l’infinito nulla, l’assenza di tutto. Se n’erano accorti tutti. Se n’era accorta anche lei. C’erano certe sere in cui gli attacchi di panico erano più pesanti e lei aveva paura. Non sapeva cosa fare; una sera delle più brutte provò a chiamare Giorgio, il telefono squillò, ma dall’altra parte non rispose nessuno. Dopo quella sera, andò dal medico, che le prescrisse dei farmaci, grazie ai quali riusciva a star meglio, seppur per poco tempo.
"Vedo i fiumi dentro le mie vene, cercano il loro mare, rompono gli argini, trovano cieli da fotografare..
Sangue che scorre senza fantasia porta tumori di malinconia.." - F. De Andrè, Un ottico
martedì 2 febbraio 2010
Racconto con neve e sole - Altre primavere
(parte 3/3, continua da Racconto con neve e sole - Nuove stagioni)
Il tempo continuava a passare, Iole aveva ricominciato a far su e giù da Pistoia tutti i santi giorni, e tutti i santi giorni pensava a Giorgio, lo amava ancora e non riusciva a dimenticarlo. Questo certo non l’aiutava. Non la poteva più aiutare neanche Erica, dato che Iole uscì sempre meno di frequente con la sua amica. Tornava subito a casa, appena finiva in posta. Pian piano smise anche di scrivere nel suo blog. Si stava chiudendo sempre di più in sé stessa, e un paio di settimane dopo, cadde in depressione. Non volle neanche andare dallo psicologo come le aveva consigliato suo padre, diceva che stava bene e che si sarebbe ripresa in fretta. Ma non fu mai così. Non si sollevò più da quello stato, e la ragazza che ora lavorava alla posta delle piccola frazione di Sambuca Pistoiese, non sembrava la stessa ragazza che ci lavorava due anni prima. I suoi occhi ora rispecchiavano il vuoto, l’infinito nulla, l’assenza di tutto. Se n’erano accorti tutti. Se n’era accorta anche lei. C’erano certe sere in cui gli attacchi di panico erano più pesanti e lei aveva paura. Non sapeva cosa fare; una sera delle più brutte provò a chiamare Giorgio, il telefono squillò, ma dall’altra parte non rispose nessuno. Dopo quella sera, andò dal medico, che le prescrisse dei farmaci, grazie ai quali riusciva a star meglio, seppur per poco tempo.
Il tempo continuava a passare, Iole aveva ricominciato a far su e giù da Pistoia tutti i santi giorni, e tutti i santi giorni pensava a Giorgio, lo amava ancora e non riusciva a dimenticarlo. Questo certo non l’aiutava. Non la poteva più aiutare neanche Erica, dato che Iole uscì sempre meno di frequente con la sua amica. Tornava subito a casa, appena finiva in posta. Pian piano smise anche di scrivere nel suo blog. Si stava chiudendo sempre di più in sé stessa, e un paio di settimane dopo, cadde in depressione. Non volle neanche andare dallo psicologo come le aveva consigliato suo padre, diceva che stava bene e che si sarebbe ripresa in fretta. Ma non fu mai così. Non si sollevò più da quello stato, e la ragazza che ora lavorava alla posta delle piccola frazione di Sambuca Pistoiese, non sembrava la stessa ragazza che ci lavorava due anni prima. I suoi occhi ora rispecchiavano il vuoto, l’infinito nulla, l’assenza di tutto. Se n’erano accorti tutti. Se n’era accorta anche lei. C’erano certe sere in cui gli attacchi di panico erano più pesanti e lei aveva paura. Non sapeva cosa fare; una sera delle più brutte provò a chiamare Giorgio, il telefono squillò, ma dall’altra parte non rispose nessuno. Dopo quella sera, andò dal medico, che le prescrisse dei farmaci, grazie ai quali riusciva a star meglio, seppur per poco tempo.
Giorgio l’aveva visto il telefono squillare. Aveva visto di chi era il numero. Ma decise di non rispondere, spense il telefono e si mise a dormire. Si era messo a fumare e, qualche volta, anche a bere. Fumava le sue Winston blu senza rendersi conto che lo faceva per sopprimere una voce della sua coscienza che cercava di dirgli qualcosa; e che lo faceva per cercare di colmare un vuoto enorme che la partenza di Iole gli aveva lasciato dentro, e che neanche Paola B. riusciva a riempire.
Era tornato a Sambuca stabilmente un mese dopo la partenza di Iole, per due mesi di riposo, dato che all’inizio della primavera avrebbe ripreso a fare tour e tutte le altre apparizioni. Per lui, in data 24 marzo, era previsto uno dei concerti più importanti della sua vita: si sarebbe esibito con Guccini all’ Olympia di Parigi, uno dei più celebri templi della musica, che aveva visto passare dal suo palco artisti come Edith Piaf, i Beatles, i Rolling Stones, Celentano; e questo Giorgio lo sapeva bene.
Ciò che non sapeva e che non aveva tenuto in considerazione, era che Guccini non viaggiava in aereo, ma sempre in treno e che avrebbero quindi dovuto fare tutto il viaggio in treno.
Iole era passata in breve tempo dal Diazepam, che ormai non le faceva più alcun effetto, al Prozac. Il suo medico, vista l’età di Iole, non le aveva detto che causava comportamenti suicidi se assunto prima dei 18 anni, e lei certo non aveva letto le avvertenze. Ma la maggior età, spesso è solo una formalità legale; e Iole era debole. In breve tempo arrivò dalla dose prescritta di 20 mg al giorno di gennaio, ai 100 mg al giorno di metà marzo, senza che nessuno, oltre a lei, lo sapesse. Come non aveva detto a nessuno che la sera di un insipido 11 febbraio le era caduto un bicchiere mentre lavava i piatti, e raccogliendo uno dei frammenti le era venuto l’istinto di farlo scorrere con forza lungo il suo polso indifeso. E per non pensarci, si aumentò la dose di Prozac. L’effetto fu, a sua insaputa, che le vennero sempre più frequenti le idee di suicidio causate dalla chimica dell’antidepressivo.
La mattina del 21 marzo, primo giorno di primavera, Giorgio si svegliò più elettrico ed eccentrico che mai. C’era il sole a Sambuca e doveva andare a prendere Guccini nella sua casa di Pavana, dopo pranzo, dopodiché sarebbero andati alla vicina stazione di Porretta Terme per prendere il treno Porretta-Bologna delle 14;22. Da lì, sarebbero poi partiti alla volta di Parigi dove il 24 li aspettava il concerto all’Olympia.
La stessa mattina, nello stesso piccolo paesino di montagna, lo stesso sole filtrava dalla vetrata della posta, e andava ad illuminare il viso spento di Iole. Alle 13 la posta era deserta, e Iole ne approfittò per tornare a scrivere nel blog, dove non scriveva da quasi tre mesi. Scrisse due post. Il primo, era una poesia:
Felicità mancata
vorrei essere
felice
con la semplicità del sole
che tramonta all’orizzonte
Il secondo, era un virtuale biglietto d’addio:
Ultimo post
Buongiorno mondo. Sono Iole. Torno a scrivere dopo una lunga assenza. Torno a scrivere per l’ultima volta. Vi scrivo per ringraziarvi, tutti. Tutti voi che avete letto i miei post su questo blog. Tutti voi che avete comprato e letto il mio romanzo scritto con Erica. Erica stessa. I miei genitori, che mi hanno sempre amata, che hanno fatto tanti sacrifici per me, che mi hanno pagato l’università. Facendomi ottenere la laurea inutile che mi ha fatto arrivare fino a qua, fino a questo paesino sperduto di queste montagne da favola, dove due anni e tre mesi fa mi sono innamorata. E dove ho perso il mio cuore. E senza il mio cuore io non riesco più a vivere. Mi sento un vegetale. Mi sento morta. Non riesco a pensare che ogni singolo respiro che faccio lo faccio solamente per un istinto di sopravvivenza fisiologico, e non perché ho qualche motivo o scopo ben preciso per farlo. Senza il mio cuore, senza la mia capacità di pensare, reputo che la mia esistenza sia ormai inutile. Non so se domani mi starò ancora chiedendo perché respiro.
Grazie ancora a tutti,
addio.
Iole Bianchini.
Così Iole, superate di venti minuti le 13;30 - orario di chiusura - a causa dei post, prese un’altra dose di Prozac, e chiuse la posta. Ma non tornò a casa. Mise in moto la macchina e principiò a fare la cosa che aveva già premeditato di fare da qualche giorno, e che in quell’ufficio postale era ormai sicura di dover fare.
Si diresse quindi verso la stazione più vicina, che era quella di Porretta, che dista circa una decina di chilometri da Sambuca. Andava piano, perché il potente farmaco le rallentava, e non poco, i riflessi. Percorrendo la porrettana, prima di lasciare il confine toscano per quello emiliano, passò davanti ad un vecchio, ma simpatico affresco sulla facciata di una casa, e pensò a quella volta che l’aveva visto con Giorgio andando a Bologna, e a quanto si fossero divertiti dibattendosi su cosa rappresentassero i personaggi di quel disegno.
Due minuti prima, per la stessa strada, era passata anche l’Audi A6 che vedeva al suo interno Giorgio e Guccini. E Giorgio, passando davanti allo stesso affresco, pensò alla stessa cosa che aveva pensato Iole; e si accese subito una sigaretta.
Arrivata nel parcheggio della stazione, Iole spense la macchina, inserì la prima e tirò il freno a mano. Fece un respiro profondo e, presa la borsetta, ne tirò fuori il contenitore del Prozac. Ne ingerì altre sette capsule, sforando pericolosamente il limite, tenendo conto che ogni capsula equivale a 20 mg. Totalmente interdetta, vaneggiando con la vista che cominciava a sfuocarsi mano a mano che il farmaco raggiungeva i suoi neuroni, si diresse verso la stazione.
Giorgio aveva già parcheggiato, e in quel momento stava facendo il biglietto con Guccini.
Iole entrò in stazione e andò verso i binari. Poi percorse il marciapiede per tutta la sua lunghezza, oltrepassando i bagni e arrivando fino a dove finisce il cemento lucido e inizia la ghiaia. In quel punto un treno ha già iniziato a frenare da cento metri, ma ha ancora una velocità considerevole di 80 Km orari. Iole lo sapeva.
Nel mentre, dall’alto una voce annunciava che “Il treno 6382 proveniente da Pistoia è in arrivo al binario 1”. Nello stesso momento, i due cantautori si erano posizionati poco prima dei bagni della stazione per fumare l’ultima sigaretta prima di salire in treno. Mentre Guccini spegneva il mozzicone della prima e ne iniziava una seconda, Giorgio aveva notato la sagoma di una ragazza col cappuccio della felpa alzato sulla testa, al limite del marciapiede, che gli dava di spalle. Era a circa a quaranta metri da lui, e aspettando che si voltasse per vederla in volto, cominciò a fissare quella sagoma magra e un po’ ricurva, cercando di capire perché fosse in quel punto, così, ferma immobile.
Tempo dieci secondi e la ragazza si mosse, mentre dal poco lontano orizzonte arrivava il treno proveniente da Pistoia. Giorgio la osservò dapprima curioso, poi preoccupato quando vide che stava per spostare il suo piede destro dalla linea gialla alla ghiaia oltre il marciapiede, verso i binari.
Anche Guccini se ne accorse ed esclamò subito uno spontaneo “Guervda quel, oh, oh!”
Il treno era ormai poco lontano, e la ragazza aveva messo tutti e due i piedi oltre il marciapiede, ed era ormai in mezzo alle due rotaie del binario 1.
Giorgio, avvicinandosi quasi correndo, gridò:”Levati di lì, sei pazza, sta per arrivare il treno!” ma la ragazza, restò di spalle, immobile tra le rotaie, come non avesse sentito.
Allora Giorgio, sperando che quel gesto eroico venisse immortalato da qualcuno, si mise a correre e bruciò in uno scatto i venti metri rimasti tra lui e la ragazza; dopodiché, tra lo stridore assordante dei freni del treno in arrivo, si gettò e abbracciando al volo la ragazza di spalle, atterrò di peso con lei, poco oltre la rotaia del primo binario, a un soffio dal passaggio del treno.
Mentre il treno continuava a passare, lasciò scivolare la ragazza a terra senza guardarla, e restò disteso sul ghiaione, con gli occhi rivolti al cielo, fino a che quasi tutti i vagoni non furono passati innanzi.
Mentre passavano le ultime tre carrozze, si mise in ginocchio e cercò di voltare la ragazza, che giaceva a terra su un fianco, dandogli ancora una volta le spalle. Quando la voltò, gli prese un colpo e cacciò un urlo che non riuscì a trattenere, nel vedere che quella ragazza era Iole.
Iole restava ferma, non parlava, guardava il cielo quasi senza battere le ciglia.
Giorgio la mise in ginocchio, al suo pari, sollevandola delicatamente dalla schiena. “Iole, Iole.. ma che cazzo stavi facendo!” lei lo guardava ma non rispondeva. Lui le prese le spalle e la scrollò quasi a voler farle prendere coscienza, e nel mentre ripeteva, con un nodo alla gola, all’infinito il suo nome.. “Iole.. Iole..”.
Iole ora non guardava più Giorgio, ma teneva fisso il suo sguardo spento verso un punto indefinibile nell’infinito. Era ormai in overdose, ma questo Giorgio non lo sapeva. Tutt’un tratto, smise di scrollarla, e abbracciandola dolcemente in vita, scoppiò a piangere tra il suo seno, come non aveva mai fatto prima da quand’era bambino.
Smise di piangere, lasciò Iole e si alzò in piedi, solo quando i soccorritori del 118 chiamati dalla folla di curiosi la misero in una barella arancione e la caricarono nell’ambulanza, portandola al vicino ospedale di Porretta. Giorgio si era reso conto, mentre la caricavano, che l’unica cosa che le era rimasta di vitale in quel momento, era il respiro, e fu preso da angoscia quando la prima veloce diagnosi dell’uomo che l’adagiò in barella fu “Overdose, è in overdose, via, corri in rianimazione!”
Se Guccini restò sgomento, Giorgio era semplicemente sconvolto.
Il destino li aveva fatti rincontrare proprio nel momento più importante per Giorgio e più oscuro per Iole. Ma per Giorgio non era più semplice destino, e da quella sera, ripresosi dallo shock, cominciò a credere in Dio, accantonando per sempre tutte le spiegazioni scientifiche che cercavano di spiegare l’assurdità apparente di questa scelta.
Passò le due notti e i due giorni successivi nell’ospedale di Porretta. Aveva capito che il suo posto era di fianco alla donna che amava davvero. Per starle vicino, mandò all’aria il concerto all’ Olympia. Insistette perché ci andasse Guccini, ma nemmeno lui se la sentì dopo quel che era successo.
Il mattino del 24, verso le 10, Iole si riprese, e sebbene fosse ancora debole, a Giorgio venne permesso di entrare nella sua stanza.
I loro sguardi si incrociarono, come quella mattina al bar di fronte alle poste, mentre bevevano il caffè. Giorgio camminò verso Iole in silenzio, e senza parlare, la abbracciò delicatamente.
“Guarda un po’ chi c’è.. Ciao stronzo!” Disse lei con un filo di voce.
“Iole. Ehhh, non so da dove cominciare, io... Scusa... non pensavo che...”
“Deh, c’è poco da dire, uno stronzo sei. Un grandissimo stronzo. E io scema a star male per colpa tua. E con questo s’è detto tutto.” – “Mi hanno detto che sei stato proprio te a salvarmi.. che culo eh?! Di un po’, stronzo.. perché l’hai fatto?”
“Ma che domande sono, ma sei scema? Iole.. stavi per finire sott’ al treno.. secondo te io che ero li vicino ti lasciavo lì? Ma io neanche sapevo che eri te.. ma ti rendi conto? Iole, io credo che...”
“Davvero toccante.. Certo.. Senti so che devi tenere il concerto più importante della tua vita stasera alle nove, quindi adesso che hai visto che sto bene, vai al Marconi, prendi il tuo aereo per Parigi e levati di culo.. che sennò arrivi in ritardo dai tuoi cari fans...”
“Il concerto è già stato disdetto. Non sapevo quando ti saresti ripresa, e dovevo starti vicino. Io ti amo, Iole”
“Balle, sei uno stronzo! Sono solo balle.. Tu non mi ami ‘na sega!”
“Te lo giuro.. Anche se.. Dio.. Sei quasi dovuta finire sotto un treno perché io lo capissi...” E scoppiò a piangere, un’altra volta, coricandosi tra le sue braccia. E mentre continuava a piangere, lei lo baciò.
Il bacio durò poco, interrotto dall’infermiera che fece capire a Giorgio che doveva uscire, perché Iole doveva riposare.
“Torno a trovarti stasera..”
“Dovrei spaccarti la faccia.. e invece ti bacio.. Che grulla.. Ciao stronzo!”
Iole tornò a dormire serena, avendo riacquistato una tranquillità che neanche dalle cure mediche e dai farmaci somministrati dai medici bolognesi aveva saputo ottenere.
Nel giro di poco tempo, migliorò sorprendentemente, e venne dimessa.
Così, in un giorno di Maggio, in piena primavera, mentre una leggera brezza accompagnata dal sole faceva fluttuare nell’aria i capelli color oro di Iole, Giorgio la riaccompagnò a casa.
Nella loro casa, a Sambuca.
Giorgio smise ben presto di fumare, e l’ansia, la depressione, il Prozac, erano per Iole ormai solamente dei ricordi lontani, dimenticati in un batter di timbro postale.
Da quella primavera, iniziò per Giorgio e Iole un nuovo periodo, una nuova vita.
Giorgio, nonostante avesse rifiutato all’Olympia, proseguì con la sua attività artistica, spinto da Iole, che da allora, lo seguì in tutti i suoi concerti, anche se cominciò a viaggiare sempre meno, per starle vicino nella loro casa tra le montagne.
Intanto, il romanzo di Iole scritto con la sua amica era esploso fino ad entrare nella classifica della top ten dei libri più venduti in Italia.
Questo la spinse, la primavera successiva, a scrivere da sola altri romanzi, altri libri che diedero finalmente un senso alla sua laurea. E che le permisero di lasciare le poste, per dedicarsi totalmente alla scrittura e ad Enrico, loro figlio, nato tre anni dopo il suo secondo e definitivo trasferimento a Sambuca Pistoiese.
A lui Iole dedicò uno dei suoi libri che ebbe più successo, finito di scrivere due giorni prima che nascesse: “Montagne di vita” che altro non era che la storia di Giorgio e Iole romanzata, fino alla sua nascita. Ma mai nessuno, a parte Giorgio, Iole e pochi altri, lo seppe.
Altre primavere passarono poi a Sambuca Pistoiese per Giorgio e Iole. Piene di serenità, e di gioia di vivere, data anche da Enrico.
Altre primavere dovranno ancora passare, e passeranno con la stessa serenità, che Giorgio e Iole hanno imparato a coltivare. Ma ciò che deve ancora venire, è un’altra storia.
E chissà, forse Iole la scriverà, un giorno.
FINE
3 commenti:
Mi fa piacere anche un semplice "Ciao", sapere che siete passati di qua, che avete respirato un po' l'aria di queste montagne!
Ma potete scrivere quello che volete, come volete! Io non cancellerò mai un commento*, perchè il blog vive e cresce proprio coi commenti! E perchè mi piace chi partecipa, chi pensa, chi scrive! Come canta Gaber
"Libertà è partecipazione"
Grazie a tutti voi cari Visitors liberi!
*(a parte insulti gratuiti, bestemmioni, anonimi che spammano o fanno altre burle, e qualsiasi altra cosa ritenga vada oltre la minima decenza...) :)
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Mi scuso se mi sono dilungato con il seguito della prima parte (che per me finiva lì com’era), ma non potevo certo scrivervi “E vissero tutti felici e contenti” =)
RispondiEliminaCi sarebbero poi da svelare svariati retroscena, primo tra tutti perché i protagonisti si chiamano Giorgio e Iole, ma non voglio annoiarvi oltre...
Ciao visitors, e grazie!!!
Sniff sniff.. no giuro che non mi sono commossa! Sè, chi io? La regina delle nevi mi chiamano, quindi il fazzoletto mi serve solo perchè ho il raffreddore! Gnegne!
RispondiEliminaMoooolto bello! Moooolto sbagliato buttarsi sotto un treno per un uomo. Moooolto giusto prendere una sbornza atomica con le amiche! Io ero lì apposta mannaggia!
Ovviamente scherzo perchè sono cretinetta, ma davvero mi è piaciuta molto questa storia! E a me interessano i retroscena! Sò curiosa!
un racconto sul potere distruttivo dell'amore...per fortuna però con un lieto fine!!
RispondiEliminaora quando possiamo sapere i retroscena?