
"Vedo i fiumi dentro le mie vene, cercano il loro mare, rompono gli argini, trovano cieli da fotografare..
Sangue che scorre senza fantasia porta tumori di malinconia.." - F. De Andrè, Un ottico
venerdì 9 aprile 2010
Periodo di viole
Martina aveva solo sette anni e non aveva mai visto la montagna dove stava il nonno, in primavera.
I suoi genitori, che abitavano nella caotica giungla infernale della città, andavano a trovare i nonni paterni che stavano in montagna solo a Natale, quando l’unica cosa che si vede tutt’intorno è la neve, e l’aria che si respira punge il naso e gli fa il solletico, facendolo restare rosso come un peperone finché non si entra in casa e non ci si avvicina al camino, dove la legna matura scoppietta in mille scintille.
A Pasqua, era tradizione ormai per loro andare a trovare i nonni materni di Martina, che abitavano in Polesine. Fino a poco tempo fa abitavano in campagna, fuori città: una di quelle zone bonificate secoli addietro fin dagli etruschi, dai romani. Zone che l’alluvione del ’51 aveva devastato, ma che gli abitanti, quelli che avevano tenuto duro, non avevano mai smesso di risistemare, bonificare, coltivare.
Stavano ancora lì, ma il papà della mamma di Martina diceva che ormai quella non era più campagna. Ormai era diventato un quartiere dormitorio della città poco lontana, ormai il cemento pian piano si stava divorando la terra fertile che per secoli era stata difesa con i denti dalle paludi create dal Po e dall’ Adige. Ma non poteva essere difesa dal cemento. E pian piano, dopo secoli di bonifica, stava ridiventando una palude. Di cemento, ma pur sempre una palude. E tutto ciò rendeva ancora più pesante l’aria dove abitavano i nonni materni di Martina, come se l’afa asfissiante non bastasse a renderne difficile il respiro.
Per questo a Martina piaceva molto di più dove abitava il papà del suo papà, in montagna; quando andava là, anche se le faceva il solletico al naso, l’aria che respirava era molto più buona di quella dell’altro nonno. E meglio ancora di quella della città dove stava. E quando i suoi genitori le dissero che stavolta a Pasqua si andava dal nonno Franco, in montagna, Martina fu ben felice.

E c’era il sole quel giorno di primavera. C’era un bel sole che arrivava diretto, quasi come volesse accarezzare le persone. Martina pensò che il sole voleva giocare con lei. Non era certo il sole che vedeva tutti i giorni, sporcato e offeso dalla nebbia inquinante della città. Ma dopo un po’ smise lo stesso di guardare nella sua direzione, perché gli abbagliava gli occhi, e tutto quello che vedeva dopo era del bagliore del sole; e per un po’ non riusciva a vedere nient’altro.
Quel sole fece andare tutti a tavola di buonumore, e quando si alzarono, andarono a fare una passeggiata per i monti. Era festa, quindi rimasero a tavola un po’ più del solito, ma finirono comunque in fretta di mangiare. Nonno Franco era uno concreto, attivo, che non amava stare a tavola più del dovuto, specialmente in una giornata così. Odiava l’ozio, e che stava sempre all’aperto si vedeva anche dai leggeri solchi che il sole e il vento di montagna avevano fatto sul suo viso.
“Adesso ti porto a vedere dove nasce l’acqua buona che hai appena bevuto, Martina! – Via, che si va a camminare un pochino” disse il nonno. E tutti uscirono, il nonno camminava avanti a tutti, affiancato da Martina che lo seguiva curiosa, e che stringeva la mano del suo papà. Le due donne dietro, a parlare di chissà cosa.
Ma in una breve corsa, in un attimo la piccola mano di Martina si staccò da quella del papà e andò a stringere quella grande da contadino di nonno Franco, per tirarlo su un lato della stradina in salita dove aveva visto una cosa che le piaceva molto: “Nonno nonno, vieni, cosa sono questi? Sono bellissimi”
“Sono viole piccolina, è periodo di viole questo, quassù! Quando spuntano così vuol dire che la primavera ormai è arrivata. Ormai siamo nella bella stagione. Vedi, ci sono quelle viola, quelle viola chiare e anche quelle bianche di montagna.”
“E quelli cosa sono? Quelli gialli belli li che sono dappertutto!”
“Quelle sono primule, spuntano anche quelle nel periodo delle viole. I fiori li puoi anche mettere nell’insalata, sono buoni e gli danno un bel colore, sai?” – disse il nonno sorridendo.
“E dovresti vedere tra un po’, qua spuntano i fiori belli, quelli profumati del frutteto, della rosa canina, del biancospino. E fra un mesetto si aprono pure quelli del maggiociondolo..”
“E come sono?”
“Belli, bellissimi. Sono tutti gialli. Sono come un grappolo d’uva - sai - solo che invece d’esserci gli acini ci sono un sacco di fiori gialli..”
E così Martina continuò la passeggiata tenendo il nonno per la mano e bombardandolo di domande sui fiori, sugli alberi e su tutte le piantine che vedeva lungo quella stradina verde di montagna, perché gli piacevano e perché pure il nonno era bravo a raccontarle tutto quello che voleva sapere su tutte quelle cose fantastiche. E nonostante Martina non si fermasse mai di fare domande, al nonno certo non dispiaceva, anzi: insegnava volentieri tutto quello che poteva a quella nipotina che vedeva così di rado.
E d’un tratto arrivarono alla fonte. Piccola, umile, anche nascosta dalle rocce da dove usciva l’acqua, dopo essere nata più in alto, nel cuore della montagna. Ma così preziosa.
Il nonno si chinò, ne raccolse un poca con le mani giunte e se la spruzzò in faccia. Dopo ne prese una seconda volta, e la bevve, come faceva sempre quando andava alla fonte.
“Prendine un po’ anche te, dai!” - E dopo che Martina si lavò il viso e bevve quell’acqua così pulita, il nonno le spiegò che: “Vedi com’è buona la natura, con quest’acqua facciamo tutto: beviamo, ci laviamo, e innaffiamo l’orto. La fonte è piccola piccola, ma ci esce una cosa grande, che ci permette di fare una cosa ancora più grande: vivere! Senza quest’acqua quassù non si riuscirebbe a far niente, la natura che è buona lo sa, e ce la dà.”
“Ma se la natura è così buona perché ieri ha ucciso tutte quelle persone?” - Chiese con tutta la sua innocenza Martina riferendosi all’inondazione che c’era stata dall’altra parte del mondo il giorno prima, di cui aveva visto le immagini alla tivù.
“Eh, piccolina!” – “La natura ha le sue leggi. E sono le leggi più giuste e impassibili che esistano in cielo e in terra. Dalle leggi della natura non si scampa mica..”
“Cosa vuol dire?”
“Vuol dire che se tu vuoi bene alla natura, la natura con te sarà sempre buona e non ti farà mai mancare niente. Se vuoi bene alla terra, se la tratti bene, la terra ti darà sempre le cose buone e sane che hai mangiato oggi. Frutta e verdura che hanno sapore, che quando li mangi ti fanno bene e ti senti sazio, porca vacca, non come la roba che ti vendono ai supermercati in città!”
“Allora vuol dire che chi lavora la terra come te vuol bene alla natura? Bisogna lavorare la terra per volergli bene?”
“No piccolina. È questo il punto. È proprio chi lavora la terra che gli sta facendo più male che mai alla natura. Li vedi quei campi là, dall’altra parte della vallata? Là ci buttano i veleni: il concime chimico per far gonfiare le patate come fossero meloni, i diserbanti perché zappare è faticoso, e pure i veleni per non farci andare le dorifare, che mangiano le foglie delle patate. Anch’io le coltivo. Ma io le tiro su ad amore e sudore. È il miglior concime, quello. E non ci butto i veleni. I veleni che buttano tutti stanno facendo ammalare la terra. La terra si sta stancando, piccolina. Non se ne accorge nessuno di quelli che la coltivano, perché pensano solo a coltivarla per fare i soldi, ma la terra si sta stancando. Se continuano tutti così a farle male, fra un po’ si ammalerà per davvero.”
Martina stava tentando di capire come una cosa che le sembrava ferma e immobile, la terra, si potesse ammalare. Si domandava se la terra poteva prendere la febbre come l’aveva presa lei due mesi prima. Il nonno, dopo un sospiro malinconico, sembrò leggere la perplessità negli occhi sgranati e attenti della bambina, e si rimise a spiegargli.
“Uno che la lavora con passione, con amore la terra, prima di tutto deve saperla ascoltare. La terra parla bambina. A te non sembra vero, ma la terra parla. E non solo chiedendo l’acqua o il letame maturo quando c’è bisogno di concimarla. La terra parla tutti i santi giorni, solo che nessuno la sta ad ascoltare. Se adesso vai lì sul campo e scavi un pochino con le mani, e ti metti ad ascoltare, la terra parla anche a te. Devi solo imparare ad ascoltarla, averne la pazienza. Ma tutti ormai hanno fretta e col tempo sono diventati avidi di soldi e di potere, così hanno smesso di ascoltare la terra e hanno cominciato a coltivarla sempre di più, sempre più intensamente, senza lasciarle respiro, senza rispettarla. Caricandola di veleni per farle produrre di più. Per questo si sta stancando. E si sta piano piano ammalando. E tenta di farcelo capire; con i terremoti, con le alluvioni come quella di ieri, con i vulcani che si riattivano. L’uomo le sta facendo male: sta sciogliendo i suoi ghiacci, sta infangando la sua acqua pulita, sta disboscando intere foreste, solo per i soldi. Per il potere. E la natura risponde finchè può con queste catastrofi, come quella di ieri. Ma se continua così, non avrà neanche più la forza per rispondere, e lì si che la vedo brutta.”
Martina stava diventando triste nell’udire quelle parole e nonno Franco se ne accorse, così, cogliendo una campanella di quelle bianche, di quelle che crescono nei luoghi umidi o lungo le rive dei piccoli torrenti, la porse alla nipotina.
“Ma la natura, nonostante tutto il male che gli uomini le stanno facendo, continua a far fiorire i prati di montagna, continua a far spuntare il sole che ci scalda, che fa l’arcobaleno quando piove. Continua a far volare le rondini, e far cinguettare tutti gli altri uccelli quand’è primavera. Continua a far spuntare queste campanelle, le primule e le viole. E lo fa perché sa che c’è gente come te, piccolina, a cui piace tutto questo. Che ancora si fa incantare dal cielo pulito e dai fiori freschi. Lo fa perché sa che c’è ancora qualcuno che le vuole bene. E finchè ci sarà, finchè ti piaceranno questi fiori, la terra non si ammalerà!”
2 commenti:
Mi fa piacere anche un semplice "Ciao", sapere che siete passati di qua, che avete respirato un po' l'aria di queste montagne!
Ma potete scrivere quello che volete, come volete! Io non cancellerò mai un commento*, perchè il blog vive e cresce proprio coi commenti! E perchè mi piace chi partecipa, chi pensa, chi scrive! Come canta Gaber
"Libertà è partecipazione"
Grazie a tutti voi cari Visitors liberi!
*(a parte insulti gratuiti, bestemmioni, anonimi che spammano o fanno altre burle, e qualsiasi altra cosa ritenga vada oltre la minima decenza...) :)
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Mi è venuta voglia di andare a raccogliere le viole.. prima che muoiano tutte..
RispondiEliminaGià sono belle, ma come dice nonno Franco, dopo le viole ci saranno altri fiori, e ancora più profumati...
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